domenica 19 ottobre 2014

Juke Box

Il fumo di sigaretta scorreva denso verso l'alto e la musica si riversava spumosa nell'aria di solitudine che invadeva il locale.
Le sedie consumate lasciate ai tavolini su cui permeava l'odore delle bevande rovesciate.
Le bottiglie aperte sul bancone, ancora piene, ed il jukebox da cui fuoriusciva “The House Of The Rising Sun”.
In piedi, a seguire con lo sguardo l'alone di fumo che si distendeva in aria, era rimasto Jimmy, il giovane che viveva proprio a qualche isolato di distanza, non un tipo troppo simpatico. A dirla tutta parlava poco e di rado faceva amicizia con qualcuno del locale: un posto ordinario e frequentato dalla gente del quartiere.
Quella sera Jimmy era entrato lì, come molte altre sere, per bere qualcosa di forte. Perchè fondamentalmente non sapeva che farsene della propria vita. Non gli piaceva l'idea di doversi inventare un modo per procurarsi il pane, che poi a lui manco piaceva il pane. Lo considerava un inutile ingombro alimentare.
Dunque se ne stava lì da solo, e beveva dal bicchiere. Sempre molto posato nei modi il giovane Jimmy. Dormiva nella casa in cui era nato e cresciuto. Mangiava la pasta di sua madre, che lo aveva fatto diventare alto, forte e bello (a detta di sua madre).
Lavorava di giorno come muratore insieme a suo padre, e così portava a casa qualche soldo, ma lui non voleva fare il muratore (così pensava).
Decise di farsi un tiro e prese a fumare. Era la prima volta che fumava, ma si sentì giustificato a prendere quel mozzicone ancora acceso e provarci... del resto non c'era anima viva lì dentro.
Gli diede un po' fastidio, e si chiese come diavolo facesse alla gente a piacere di respirare quell'accozzaglia di roba, faceva tossire! “Quanto è cretina la gente!” Pensava, “proprio uno schifo, la gente” e si sedette su una di quelle sedie a ridosso di un tavolino, ascoltando la canzone.
Gli venne da schioccare le dita seguendo il ritmo dimenticandosi della gente, che in effetti non c'era il bisogno di dimenticare, essendo solo lui. Questa nuova consapevolezza lo colse come conseguenza dello straordinario silenzio che rendeva ottima l'acustica del locale. Inoltre poteva godersi il JukeBox senza doversi sorbire le patetiche scelte musicali degli altri. Così corse alla macchina verso la fine della canzone, con il tintinnio dei centesimi pronti nella tasca. Lo aveva sempre emozionato il jukebox: inserire la monetina, schiacciare i tasti e vedere come sfogliava i dischi scegliendo quello che lui aveva scelto. Adorava quella sensazione di comunicazione così limpida e cristallina, senza il rischio di fraintendimenti.
Proprio mentre stava per selezionare uno dei suoi gruppi preferiti gli sorse spontanea una domanda: “Dove sono finiti tutti?” Già, dove erano finiti tutti?
Prima di arrivare al locale lui se ne stava nel bagno di casa. Ricorda che dopo le polpette di mamma era dovuto correre lì dentro, ma non per le buonissime polpette. Si vede che gli era preso uno di quei virus intestinali di cui alle volte si parla, nelle cene di famiglia. Allora dopo un' abbondante mezz'ora si era rimesso i calzoni e aveva tirato lo sciacquone, perchè si era fatta l'ora di uscire. Sceso in salotto la TV era accesa, come ogni sera, e non valeva neppure la pena di salutarli quei due, perchè tanto non avrebbero risposto. Comunque disse: “Ciao Ma e Pà! Vi voglio bene. Io esco, ci vediamo domani!” Più per una sorta di rito scaramantico che per altro, e corse fuori. La strada era deserta, ma lo era sempre quel viale, la sera non usciva mai nessuno da quelle parti. Così si incamminò verso il locale con le mani in tasca ed un allegro fischiettio per farsi compagnia.
Ed eccolo lì. Da solo.
Si fermò un attimo a pensarci su, quando vide entrare una distinta figura femminile accompagnata dal tintinnio della porta d'ingresso...
Un cumulo di curve come raramente se ne vede, su cui scivolava un lucido soprabito bianco latte. Tutta trafelata e ridondante di preoccupazioni, si sedette subito su una delle sedie, dando le spalle al povero Jimmy, che rimase fermo dov'era. Doveva averlo visto però, dato che incominciò a parlare fissando il vuoto.
-Li hanno portati via tutti! Una forte luce verdastra, intensa, elettrica...pochi secondi e poi più nulla...- Si girò di scatto verso Jimmy, che la ascoltava interessato.
-Io non ci ho capito niente! L'ho visto scomparire davanti a me!- Scoppiò in un pianto da bambina, che spezzava il respiro.
Jimmy le si avvicino come un padre affettuoso che detestava vedere la sua piccola disperarsi.
-No, non fare così! Non piangere...stai tranquilla, ci siamo io e te adesso.-
La fanciulla sollevò la testa dalle mani, con ancora le lacrime sul viso puro e delicato, guardandolo negli occhi.
-Dimmi...che cosa è successo? Chi gli ha portati via?-
-Quelle grosse macchine che hanno oscurato il cielo! Oh erano così enormi che la luce era scomparsa! Ma non le hai viste?!-
Jimmy distolse lo sguardo, lei lo mantenne ancora per un po'.
Poi si alzò, allontanandosi dalle attenzioni di Jimmy, estraendo un soffice fazzoletto di seta con cui prese ad accarezzarsi gli occhi. Singhiozzava ancora.
Jimmy si riprese.
-Le andrebbe di ballare?-
Lei gli rivolse uno sguardo annebbiato dallo sgomento, ma in cui si poteva intravedere della curiosità mista ad un senso di spensieratezza. Ripeté: “Di ballare?”
-Si, di ballare...siamo solo io e te, chi vuoi che ci veda? Ecco, solo un attimo...-
Jimmy corse verso il JukeBox, decise rapidamente per “Can't take my eyes off you”.
Le tese la mano...
-Vieni, balliamo-
Lei lentamente gli porse la sua mano. Di un'eleganza innata quella donna, semplice e profumata.
Jimmy la portò a se, guardandola come se le stesse parlando, attraverso la canzone.
Notò che piano piano nei suoi occhi incominciava a sorgere il sole, su un panorama di ampie vallate verdi, e colorate dai fiori di primavera.
“You're just too good to be true”
Non importava più di niente ormai, si stava così bene senza tutte quelle persone intorno, il loro vociare e tutte le altre stronzate, solamente lui e lei e la musica.
“Can't take my eyes off you”
Il suo sguardo si posava sulle sue labbra di carne, sul suo naso all'insù, sulla sua fronte ampia, per poi tornare sui suoi occhi chiari ed intesi.
“You be like even to touch”
“I wanna hold you so much”
Si lasciò abbracciare, presero il ritmo ed il presente iniziò a coinvolgerli entrambi, con ritrovata vitalità.
Come scintillavano le parole sul manto lussuoso delle note, gioielli sulla porpora di un abito da sovrano, re del mondo intero. Così si sentiva lui, e lei era la sua regina.
Teneramente incominciarono ad amarsi...
“I love you Baby”
Coscia contro coscia. Un armonioso sgambettare a tempo di musica pervadeva il locale, passando fra i tavoli, evitando le sedie...c'era la felicità in quella desolata città, ora.
Volteggiavano, piroettavano, avanti e indietro, sopra e sotto, dentro e fuori, le loro emozioni rivoluzionavano con loro in quel moto caotico e liberatorio che li aveva conquistati.
I fiati della canzone illuminavano le loro espressioni.
“I love you baby! Trust in me when I say!” Le diceva, e lei iniziava a crederci...lo si vedeva da lontano che voleva fidarsi.
Così si sciolse come il burro su una calda fetta di pane, e si ricordò di quando era ragazza, e sognava di fare grandi cose, che sarebbe stata bella per sempre...
Jimmy la guardava, la prendeva, le entrava dentro, non gli pareva vero di poter amare così teneramente una donna...ed era felice. Diamine se lo era!
Presero a rincorrersi, fra i tavoli e le sedie, fra le bottiglie e i bicchieri, sopra e sotto il bancone. Lei rideva, rideva che era tutta uno scuotersi ed un muoversi a tempo di musica. Con quel sorriso che avrebbe potuto illuminare tutta la città, facendo scomparire l'oscurità della notte più nera.
“Let me love you...”
“Lascia che ti ami. Non desidero altro...” Pensava Jimmy.
“You're just too good to be true”
E invece era vero, era tutto vero. Era lì, adesso, per un motivo qualsiasi.
Jimmy era davanti a lei, vicino a lei...solo con lei.
Un bacio di innata naturalezza si concretizzò fra di loro sul finale raggiante della canzone, protendendosi nel silenzio che ora li circondava.

Una forte luce verdastra, intensa, elettrica...poi più nulla.

Edoardo D'Amico



giovedì 12 dicembre 2013

Le Terme Del Pianeta Elden

Prese posto tra le ultime file del reparto passeggeri,accanto alla finestra panoramica da cui poté scorgere in lontananza la grande struttura dell'astro porto.Una vera e propria città in miniatura.

-Avviso a tutto l'equipaggio.La nave intergalattica sta per partire alla volta del pianeta Elden,nel quadrante alpha della galassia,nella costellazione della chioma di Berenice,prepararsi alla partenza. Auguriamo ai passeggeri una buona permanenza.-

L'astronave venne posizionata in verticale sugli attracchi di lancio,in breve tempo la vibrazione provocata dal surriscaldamento dei motori si protese a tutta la superficie.
Kevin avvertì una forte morsa allo stomaco,poi più nulla,per un attimo non capì se si trovava nello spazio o se invece si era solo spaventato e ancora quell'ammasso di tecnologia e metallo non era decollato.Cercò di affinare i sensi,si trattenne dal vomitare.Riconobbe dalla divisa gialla e nera l'assistente di volo :"Può sganciarsi signore,la gravità è stata ristabilita,fra circa 15 ore arriveremo a destinazione.Tenga,segua alla lettera le istruzioni riportate su questa guida passeggeri.La aiuterà a riprendersi." Si limitò ad annuire. "Bene,buon proseguimento" e si allontanò,serrando i passi l'uno dinnanzi all'altro.
Solo allora Kevin girò la testa verso la finestra da cui vide un'infinita distesa di stelle nel buio profondo dello spazio.Si sganciò,cercando di tenersi in piedi;gli girava la testa ed un senso di nausea lo invase.Poi,superato il disagio iniziale,cercò di camminare.Si ricordò della guida per il passeggero,iniziò quindi a sfogliarla.
Come attività motoria è consigliata la bicicletta,per circa 30 minuti ogni 2 ore,e per mantenere tonica la massa muscolare una serie di esercizi per favorire l'elasticità degli arti.Tuttavia di solito queste procedure si attuavano per periodi di permanenza su una nave spaziale più lunghi;il suo viaggio era relativamente breve.
Optò quindi per un sano riposo ed una lettura gradita:la fantascienza aveva lo stupefacente potere di stimolarlo più d'ogni altra cosa.

                                                   
                                                       (48 ore 5min. 36Sec. PRIMA)

-Buon compleanno tesoro!- 

-Ciao,mamma.- 
-Oh,non sei contento!Ti ho regalato un bel viaggio
all'insegna del relax.- 
-Diamine,non dovevi disturbarti- 
-Eh smettila!Sei pur sempre mio figlio no! Forza fai le valigie che parti fra due giorni!- 
-Non ho proprio voglia di rilassarmi-
-Ti piacerà vedrai!Sul pianeta Elden sono specializzati,è proprio il clima ideale,sapranno coccolarti vedrai!-

-Io ho degli impegni- 
-Andiamo! Se non ti presenti ai convegni di quel lavoraccio che ti sei trovato non avranno da ridire!-
-Essere un funzionario delle relazioni industriali,favorendo il commercio intergalattico è un ruolo fondamentale per il nostro sistema-
-Io proprio non capisco.Avevamo dei buoni contatti,possibilità di stipendio più alte...e guarda dove vivi adesso!-


La metropoli Taurniana si estendeva nell'altopiano roccioso del pianeta Taurn,nella regione a nord del più vicino centro di estrazione di un particolare composto minerario denominato Nichon. L'unica finestra del cubicolo di Kevin si affacciava sulla discarica tossica della miniera.
All'interno del suo spazio vitale si alternavano alla vista letto,cucina,una piccola scrivania,oppressa da una marea di cianfrusaglie che continuava fin sopra il dismesso materasso.Infine,in fondo alla stanza,un vano per il bagno ed una modesta libreria lungo la parete,su cui poggiavano indisturbati i grandi romanzi e racconti della fantascienza.

Kevin si trovava li,a ventidue anni,nel bel mezzo della sua abitazione a discutere con la madre in via video-fonica.La luce emanata dal trasmettitore illuminava il suo volto dal basso verso l'alto.
-Va bene,ci andrò e non ti aspettare di avermi stravolto l'esistenza con una vacanza di nove giorni Eldeniani!- 

-Questo è tutto da vedere!- Sbottò con aria di sfida la signora e la comunicazione terminò.
Lasciandolo nel buio.
-Signore,signore! Siamo nell'orbita del pianeta,tra poco atterreremo- 
Kevin si svegliò -Grazie,sono pronto- 
Guardando attraverso il vetro della finestra panoramica rimase abbagliato dalla particolare luce emanata dal sole turchese del sistema Eldeniano,conosciuto in tutta la galassia per i suoi
magnifici e benefici raggi,che,penetrando nell'atmosfera del pianeta venivano scomposti in meravigliosi colori,conferendo al paesaggio incontaminato una spettacolarità ipnotizzante. 
-Signore,si allacci le cinture.E' iniziata la manovra di atterraggio!- 
-Si,mi scusi,è bellissimo la fuori,mi allaccio subito-
Di nuovo la morsa allo stomaco e la sensazione di nausea,questa volta non riuscì a trattenersi e vomitò.
-Benvenuti,vi trovate sulla superficie del pianeta Elden.La temperatura esterna è di 32 C° ed è mitizzata da una brezza medeortica.Buona permanenza,vi ringraziamo di aver volato tramite la Space Agency-
Il portellone dell'astronave si aprì,sguinzagliando la folla di passeggeri li riunitasi.

La struttura dell'astro porto di Elden era più modesta rispetto a quella di Taurn,ad ogni modo,i controlli,maggiori.Terminate le consuete procedure di espatrio,Kevin pensò di comperarsi un paio di occhiali da sole ed una rivista.Dopotutto poteva togliersi certi sfizi di tanto in tanto.Mentre passava tra vetrine,scaffali,delle solite case produttrici di città scorse quello che avrebbe dovuto essere un naturale abitante di quel sistema.
Uno strato di membrana luminescente e ricca di recettori ricopriva l'intero corpo dell'essere,evolutosi in modo da attingere alle numerose risorse di Elden. Quattro occhi grandi e blu,indipendenti l'uno dall'altro gli permettevano di tenere sotto controllo più cose e spazi diversi. Gli arti,muscolarmente ben sviluppati,in grado di sopportare pesanti sforzi fisici,erano,suo malgrado,intenti a compiere un movimento ripetitivo quanto poco stimolante.La creatura stava infatti lucidando il pavimento dell'edificio.Uno degli attenti occhi lo squadrò con uno sguardo che parve comunicare una sorta di umanità e Kevin accelerò il passo,turbato,nella speranza di seppellire i suoi pensieri negli acquisti.
Indossò,sentendosi gratificato,i nuovi occhiali e si incamminò verso la navetta.
“Elden Resort” è li che era diretto.-Benvenuto signore,si accomodi,in breve tempo arriveremo,si godi il tragitto.- Kevin fece un cenno di assenso e si lasciò cadere sull'ampio sedile.
La struttura dell'Elden Resort sembrava adattarsi ai colori sgargianti ed alle particolari geometrie delle montagne rocciose che si rincorrevano imponenti lungo il vasto orizzonte violaceo,ed il vento sussurrava di un aria supplichevole,giungendo dalla vallata vegeta e fertile,sofferente della presenza dell'uomo,con le sue macchine e le sue lame senza scrupoli.
Un paio di addette,dall'aspetto giovane e superficiale, accolsero i nuovi ospiti sfoderando un'infinità di smaglianti sorrisi e frasi di benvenuto,accompagnandoli alle loro camere;il tutto in maniera tranquilla ed ordinata.
Dopo alcuni,insignificanti minuti,Kevin fece il suo ingresso nelle sale adibite al benessere,che tanto pubblicizzava quella struttura.
Ecco un lento via vai di figure umane dal portamento innaturale e lo sguardo assente pararsi alla vista del giovane funzionario.Tutti indossavano una confortevole vestaglia bianca,legata alla vita da un nastro di tessuto rosso.Camuffando così il proprio ruolo nella società imperialistica,in un'armoniosa uniformità;passavano di vasca in vasca,di stanza in stanza per godere del benessere. Kevin fu investito da questa consapevolezza ed esitò ad entrare in scena pur sapendo di poter essere notato con scarse probabilità.Alla fine si convinse ed oltrepassò la soglia dell'area benessere.
Senza sapere quale percorso seguire,ed essendo curioso di provare le calde acque Eldeniane,decise di immergersi nella prima vasca che vide lungo il suo procedere titubante.
Altre persone erano già assopite e cullate dalle essenze e profumi di quella sala.Entrò in acqua con circospezione,attento a non scivolare.
Rimase lì,immobile,in attesa dell'inebriante piacere che il suo corpo avrebbe dovuto trarre dalle naturali acque Eldeniane.
Passarono alcuni minuti;si sentiva esattamente come poco prima,come si era sempre sentito in quel corpo impacciato in cui era cresciuto.Si guardò intorno,molti tenevano gli occhi chiusi e respiravano profondamente,con un sorrisetto demente stampato in viso.Decise di tentare.Chiuse gli occhi e si impegnò a respirare sonorosamente e lentamente.Niente.

Era bagnato in una pozza d'acqua calda.
Passò alla “Camera dell'Immaginazione”così era segnalata.
La “Camera dell'Immaginazione” era una modesta stanzetta colma di vapore acqueo profumato con radici ed essenze del pianeta,il tutto condito da una serie di suoni della natura Eldeniana.
Kevin vi entrò,a fatica riusciva a respirare con tutta quell'umidità.Inoltre i cinguettii psichedelici delle creature di quel sistema non lo colpivano minimamente.In realtà lo stridio dei volatili lo infastidiva e l'ambiente claustrofobico cominciò ad innervosirlo.Si affrettò,dunque,ad uscire.

Ma per quale motivo trarre delle conclusioni affrettate?
Proseguì alla ricerca di questo benessere di cui tanto aveva sentito parlare e che era rintracciabile nelle ebete espressioni dei tanti li presenti.
Doveva pur esserci qualcosa che lo rendesse così leggero ed indifferente mentre il tempo passava,beffandosi degli eventi catastrofici e delle tragedie individuali che si stavano verificando in quegli stessi attimi,da qualche parte,nelle colonie del vasto sistema imperialista.
Provò il “Concerto delle Emozioni”:un corridoio diviso in due corsie con degli schermi alle pareti su cui venivano proiettate immagini di baci,armonia familiare,blando erotismo ed ingenue situazioni totalmente estranee alla vita di Kevin.
In effetti lui era un funzionario di un sistema che si propagandava come efficiente e pacifico,garante della felice quotidianità.
Il suo stipendio,misero.La sua abitazione,una discarica.Le sue relazioni,inesistenti.La sua vita,una merda.
In conclusione si sentì vittima del malvagio scorrere del tempo e consumato dal rimorso.
Le sue scelte,sbagliate.La sua tolleranza,ingiustificata.
Kevin si recò immediatamente a disdire il suo soggiorno e si curò di salire sulla prima astronave per Taurn.Una volta tornato nell'odiata metropoli si licenziò dal suo attuale impiego e si affrettò a trovare una nuova sistemazione.Avrebbe coltivato la sua passione per la fantascienza.Sconvolse la sua vita,quella breve permanenza alle Terme del pianeta Elden.

-Mamma,sono io,ho deciso di rientrare,non ti devo spiegazioni.Da oggi non avrai più mie notizie,probabilmente sentirai parlare di me,un giorno o l'altro.Ah dimenticavo,avevi ragione.
Il tuo regalo mi ha stravolto l'esistenza.- 

domenica 8 dicembre 2013

On The Moon

Edoardo D'amico                                                                   

                                                        On The Moon


Sull'ampia vetrata si stagliò immensa,immersa nello spazio sconfinato,la Terra.
Ad osservarla affascinato,seduto su di un gelido pavimento d'acciaio,vi era un bambino:Edward.
Il suo sguardo era pieno di curiosità ed un'insolita allegria gli segnò il volto per mezzo d'un sorriso. Sorseggiava una tazza di latte caldo mentre,ancora in pigiama,si godeva la vista.
D'improvviso si alzò di scatto,come se si fosse accorto solo in quel momento della mancanza di un elemento fondamentale.
Corse nell'altra stanza,aspettando impaziente che la porta automatizzata rilevasse la sua presenza e si aprisse,questioni di secondi,poi salì su di uno sgabello e raggiunse un'alta mensola;con gesto sicuro prese un vinile.
Ritornò dove aveva lasciato il latte ancora fumante,davanti alla vetrata da cui si vedeva la terra che iniziava ad illuminarsi per azione del sole,che stava ormai sorgendo.
Infilò il disco sul piatto,poi si rimise nella posizione di prima ed assunse la stessa identica espressione,fissando il pianeta.
Intanto David Bowie cantava “Space Oddity”.
Edward rimase in contemplazione fino alla fine della musica e non prima di aver finito il suo latte, poi diede le spalle allo spettacolare scenario.
Si sbarazzò della tazza, posandola nel lavandino della cucina ed andò a farsi una doccia.
Fra poco tempo sarebbe arrivato Frank dalla stazione spaziale,per verificare i suoi compiti di trigonometria.
Ripiegò accuratamente il pigiama bianco,soffice al tatto,e lo ripose all'interno di un cassetto,poi tirò fuori i vestiti dalla lavanderia e riprogrammò il prossimo lavaggio.
Aspettando il suo supervisore iniziò ad inventare qualche ritmo sincopato in 4/4,scrivendo sul suo quaderno a pentagramma.
Mentre era totalmente concentrato sul metronomo l'astronave di Frank atterrò sulla superficie lunare,sollevando detriti e polvere.Dovette allora aprire il tunnel pressurizzato e si sbrigò a preparare i libri.
-Come stai furbetto?-
-Hai portato i fumetti?- fu la risposta di Edward

-Vediamo come hai risolto questi problemi e poi ti consegnerò i fumetti-
Edward sbuffò ed aprì il quaderno -Erano facili-
Frank faceva sempre fatica ad abituarsi alle prestazioni del piccolo,dimenticava che non era come gli altri umani di 8 anni, per questo rimaneva sempre un po' stupito;ma poi si riprendeva e diceva -Ecco quel che mi avevi chiesto-
Edward sorrise e si affrettò a sfogliare le pagine dove le storie dei suoi eroi prendevano vita,mentre Frank verificava i calcoli dei compiti con un calcolatore.
-Giusto-mormorava di tanto in tanto,ma Edward era ormai distante anni luce con la mente.
Frank se ne accorse,e passò la sua mano fra i riccioli del cucciolo d'uomo.

-Leggi,io torno fra 12 ore circa,ricordati di rispondere a Tom-
Un disimpegnato -“Si,Si”- uscì dalla bocca di Edward che non desiderava far altro che leggere l'invincibile Thor, il fantastico Spider-man,e gli X-Men.
Improvvisamente la spia luminosa sulla scrivania di controllo iniziò a lampeggiare:era ora di connettersi con la terra.
Amareggiato buttò i fumetti sul letto ed attivò gli schermi nella sala grande,poi si sedette ed accese la telecamera.
-Ciao Eddy! Come va?-
-So come far fruttare il tempo,sto crescendo-
-Si lo so,come stai?Hai fatto delle analisi del sangue di recente-
-Si, sto benone. Tutto stabile dicono i computer-
-E tu come ti senti?-
Aveva sempre un tono molto freddo Tom,eppure era davvero interessato a conoscere le risposte alle sue domande,era molto attento a quello che diceva Edward.Era vestito con abiti apparentemente informali,ma il modo con cui li indossava,la staticità dei suoi gesti,rendevano la sua figura l'emblema della formalità.
-Mi sento bene,sono d'accordo con i computer,nessun problema-Affermò con sincerità Edward. -Bene,hai qualche domanda da farmi?-
Edward rifletté un momento,in effetti aveva delle domande,alcune cose non chiare,ma decise di non rivelare nulla.Non dava importanza a quei dubbi che di rado lo importunavano.

-No-fu la risposta.Tom tirò un sospiro.
-Bene,come procede lo studio?Comprendi ogni argomento?-
-Si ...mi viene,per ora,tutto semplice,intuitivo-.
-Frank è un ottimo scienziato,gli dirò di passare ad argomenti ad un livello più alto di conoscenza.I rifornimenti arrivano puntuali alla base lunare,nessun problema?-
-Tutto regolare-
-Bene,ti lascio alle tue attività.Ciao Eddy!-
-Ciao Tom- Lo schermo si annerì bruscamente ed Edward tornò a leggere,rimuginando sul solito colloquio con Tom,dalla terra.
In realtà lui non sapeva nulla sul suo interlocutore,lo vedeva tutti i giorni da quando ne aveva memoria,rispondeva sempre alle sue domande,senza pensarci troppo.


Si svegliò assillato da pensieri confusi,ansie.Sentì il bisogno di riflettere.
Si alzò dal letto sbadigliando voracemente e prese da un alto scaffale un vinile,esattamente quello che avrebbe voluto ascoltare e si avviò nella sala grande,attivò alcuni comandi e scoprì l'ampia vetrata.
A mano a mano che le pareti di metallo scorrevano in sensi diametralmente opposti,una fioca luce penetrava nella stanza.
Il pianeta Terra era lì,davanti ad Edward che lo osservava con meraviglia.
Infilò il disco sul piatto e fece partire “Life On Mars?”,poi si sedette per terra a gambe incrociate. L'umanità era assorbita dalle sue attività quotidiane,miliardi di esseri umani si preparavano a vivere un altro giorno della loro vita,con tutte le contraddizioni,le ingiustizie,le difficoltà e la meraviglia della semplicità di quel breve momento,di quel gesto spontaneo,di quella risata serena che,da qualche parte nel globo,un giovane avrebbe potuto provare.
Edward non conosceva la vita terrena,la poteva però immaginare.
Era riuscito a vedere molti film che ritraevano gli uomini ridere,combattere,amare,piangere in contesti assai diversi,in trame interessanti.
Aveva visto perfino l'uomo solitario,eroico e semplice,cavalcare i deserti del Messico alla ricerca di taglie da riscuotere,con quello sguardo che un giorno avrebbe voluto avere.
Il brano giunse al termine.
Tirò un sospiro inalando un gran quantità d'aria artificiale e pungente che gli solleticò l'interno del setto nasale e si andò a fare una doccia.
Alla base lunare il tempo passava,Edward viveva in una sana spensieratezza,ascoltando musica leggendo fumetti,studiando materie scientifiche e guardando film.L'unica cosa che lo impensieriva era il quotidiano colloquio con Tom,dalla terra.
Mentre era immerso nella lettura di un numero dell'incredibile Spider-Man accadde un qualcosa di inaspettato e del tutto sconosciuto per Edward:Peter Parker sfrecciava tra i grattacieli di New York appeso alle sue ragnatele artificiali quando,in un momento di ripensamento,relativamente alle sue vesti da Uomo Ragno ed alle sue responsabilità forse troppo grandi per un ragazzo,decise di fare visita a Mary Jane,la ragazza dei suoi sogni.Raggiunse la finestra della sua abitazione e si appostò aggrappato alla parete dell'alto edificio.Quella sera la bella Mary Jane si stava svestendo.
Edward si soffermò sull'immagine che ritraeva la giovane semi nuda,un brivido leggero lo percorse lungo la schiena,come fosse la prima nota energica di una canzone dei Led-Zeppelin,la chitarra di Jimmy Page;poi attaccò la batteria a dare corpo al pezzo,rinforzata dal basso,ed infine la voce:l'urlo
di Robert Plant.
Qualcosa si mosse allora tra le sue gambe,una nuova e strana sensazione dalle parti delle mutande, che probabilmente arrivava dal suo pene.
La cosa fu alquanto insolita,ma non si allarmò più di tanto,decise tuttavia di approfondire la questione.
In quel mentre si attivò la spia luminosa nell'altra stanza,sul vano comandi:era il momento di collegarsi con la terra.
Sullo schermo apparve,accompagnata da un piatto suono computerizzato,la figura di Tom.
-Come stai Edward?-
-Bene,come ogni giorno-
-Procedono bene gli studi sulle leggi del moto e le variazioni fisiche nello spazio-
-Si,la complessità di alcune teorie dimostrate mi richiede più tempo per l'apprendimento-
-Bene- Tom ebbe un attimo di esitazione sufficientemente lungo per permettere ad Edward di trovare un po' di coraggio.
-Chi sei tu,Tom?-esordì interrompendo il suo abituale interlocutore che scostò la testa leggermente verso sinistra.
-Sono tuo amico-
Edward ripensò ai lungometraggi che aveva modo di vedere,ed alle azioni eroiche che gli amici erano pronti a compiere per i loro fratelli di spirito,come gli chiamavano gli indiani d'America.
Tom non corrispondeva di certo a quest'idea che si era fatto di una persona amica.
-No Tom,non sei mio amico-
Tom trattenne il fiato,si affrettò a prendere nota su alcuni fogli di carta.Edward non riuscì a capire cosa stesse scrivendo,tuttavia per la prima volta,la conversazione pareva scostarsi da un copione a cui si erano entrambi abituati.Tom iniziò a sentire le mani sudare
-Eddy,io e te siamo compagni di squadra e tu sei il mio campione,anche se ci troviamo in luoghi diversi dipendiamo l'uno dall'altro e dovremo essere pronti quando giocheremo la partita-
La metafora sportiva non colpì Edward a cui non piaceva seguire i giochi di squadra,tuttavia intuì dove Tom voleva arrivare e cercò di non farlo notare.
-Ok Tom.Contro chi giocheremo?-
-Contro atleti molto meno preparati-
-Bene,allora vinceremo,ciao Tom-
-Ciao Eddy!-

Edward iniziò a pensare alla sua vita,lì alla base lunare,lontano dall'umanità ed immerso tra le stelle.Ormai aveva 15 anni e sempre più spesso percepiva la mancanza di alcune risposte e di altrettante domande.Era una sensazione terribilmente frustrante;questo lo spinse a fare delle ricerche.La tecnologia che aveva a disposizione era sofisticata e sapeva molto bene come usarla,ci era cresciuto,si fidava delle macchine.Riuscì a reperire del materiale per le sue indagini tramite la rete di dati che era presente sulla terra. Dopo svariati tentativi i suoi sospetti divennero fondati.
Si imbatté,infatti, nel progetto scientifico “On The Moon”.
I dettagli sull'esperimento erano Top Secret;ad ogni modo l'equipe di scienziati era costituita da:Frank Conrad,Henry Fellow (astronauti),Marc Erow,Phil Agrippa(responsabili della squadra di ingegneri aereo-spaziali),Tom Sawyer(psicologo,principale della “New Human”).
Tra i finanziatori dell'intero lavoro figurano i titolari della “New Human” in associazione con la “Space Agency”.
Edward si sentì bruciare,si bruciare dentro.Che senso poteva avere la sua esistenza,che futuro lo aspettava?A quale destino andava incontro?Si sentì condannato.Così giovane,perso e fragile.
In quel momento “Burn” dei Deep Purple riuscì a veicolare la sua rabbia che si sciolse in una calda lacrima.Doveva sapere chi era,per quale motivo si trovava sulla Luna,aveva il diritto di scoprire la verità.
Edward si diresse nella sala del computer centrale,non vi era mai entrato prima d'ora.Aveva intenzione di sabotare il sistema che regolava le principali funzioni della base lunare.
La stanza era fredda,percepiva un gelo pungente sulla pelle,tutt'intorno un concerto di luci a intermittenza di svariati colori:la macchina era viva.Il grande computer,possente ed inviolato,perfettamente programmato per il controllo della base lunare svettava lungo le pareti della sala,lasciando solo un piccolo corridoio per il timido umano che avanzava istupidito,dinnanzi alla tecnologia posta al servizio dello sviluppo scientifico.
Procedette violando le usuali procedure di sicurezza,che in parte conosceva e alcune delle funzioni primarie vennero interrotte.
-Frank,ho bisogno di te.Deve esserci un guasto nel sistema regolatore di gravità,inoltre il computer centrale non risponde,sembra sia in corto circuito.Chiedo il tuo immediato soccorso!-
-Ok Edward,mantieni la calma,arriviamo!-
Riempì una borsa con tutto ciò a cui si era più affezionato:qualche vinile,le sue bacchette. L'ossigeno di riserva della struttura stava ormai volgendo al termine,il modulo di spostamento dalla stazione in orbita intorno alla terra atterrò sulla superficie lunare,sollevando detriti e polvere.Edward si caricò sulle spalle lo zaino ed attese che il portellone si aprisse.

Il tempo stringeva,lui era un fuggitivo,sentì l'adrenalina scorrere nelle sue vene.
Il portellone si aprì.
Un esplosione di energia muscolare gli conferì la spinta necessaria per uno scatto verso il modulo attraccato alla struttura;con la coda dell'occhio intravide Frank che rimaneva intrappolato.Se fosse riuscito a riparare il sistema per l'ossigenazione sarebbe sopravvissuto,ma ad Edward non importava. Attivò i comandi all'interno della navetta e decollò.Destinazione:Terra.
Non si voltò indietro mai,durante le 2 ore di viaggio,fino a quando non entrò nell'orbita terrestre.
Fu allora che percepì la morsa della forza di gravità dall'interno dell'abitacolo.
Procedette quindi cercando di raggiungere bassa quota,l'intera navetta iniziò a prendere velocità,sfuggiva al controllo di Edward che iniziò ad allarmarsi;respirava affannosamente,mentre poteva scorgere il rivestimento superficiale fondersi a causa dell'alta temperatura.
Chiuse gli occhi,cercò un inverosimile tranquillità che gli conferisse la necessaria lucidità per trovare una soluzione;diede una rapida occhiata alla miriade di pulsanti del medesimo colore,tutti al loro posto,così minuziosamente posizionati,lucidi e statici.Agì d'improvvisazione,attivò i repulsori per l'atterraggio sperando di frenare la caduta e tentare di planare coi i motori ausiliari.
Strinse i denti per sopportare la morsa allo stomaco dovuta all'improvviso sbalzo di pressione e velocità,che bruscamente diminuì.
Ora procedeva quasi scivolando, su di un denso banco di nuvole scure.Quando questo si diradò,ebbe modo di scorgere,per la prima volta,la superficie terrestre.
Un'immensa distesa di massicci,slanciati palazzi parevano minacciare il cielo con le loro guglie acuminate.Un susseguirsi caotico di suoni si inerpicavano a fatica tra le costruzioni,confluendo indeboliti alle orecchie del visitatore.La navetta planava insignificante sopra la frastagliata superficie di cemento e metallo.Edward tentò di avvicinarsi il più possibile alla ricerca di un posto sicuro per atterrare.Le frenetiche luci colorate della città schizzavano violente su ogni superficie svelandone,per pochi secondi,i dettagli.Scorse allora un posto adatto nel vano di un complesso abitato,così si addentrò nella giungla urbana sviluppatasi sino a spropositate altezze;una rigogliosa vegetazione fatta di cavi elettrici,sporchi panni stesi su sottili fili di ferro,da un estremità all'altra attaccati a cubicoli comunicanti,intrecciandosi,rendevano le manovre difficoltose.
Una fioca luce gialla rendeva visibili le numerose finestre sui palazzi.
Edward scorse alcune ombre di sagome umane,indaffarate in gesti quotidiani,avvicinarsi ai vetri per notare la navetta che,con lentezza,si addentrava fra le numerose pareti di cemento armato.
Infine atterrò.
Appena uscì dall'abitacolo venne colto da un forte vento che sibilava tra le strutture,sbattendo contro ogni solida superficie.A fatica riusciva a respirare,vista la considerevole altezza;dovette dunque affrettarsi ad entrare nell'edificio.Intravide in un angolo una porta automatica,vi si avvicinò.Quella,cigolando,scorse sui binari arrugginiti.Fece dunque il suo ingresso in una camera stagna che culminava con un ulteriore porta e si affrettò ad oltrepassarla.Alle sue spalle si richiuse, mentre egli si piegò sulle ginocchia per prendere fiato;quando si rialzò ebbe modo di capire dove si
trovava.Davanti a lui si estendeva uno stretto corridoio;il pavimento rivestito da un tappeto di moquette rossa,era arricchito alle estremità laterali da un bordo color oro;le pareti,intervallate regolarmente da una serie di porte in metallo color ruggine,alla loro estremità superiore recavano un numero;il soffitto costellato da lampade producenti una luce di un caldo giallo,sovente perdevano corrente,emanando,prima di spegnersi,le ultime ondate di luce,per poi riaccendersi,con ritrovato vigore,in un continuo ripetersi di questo fenomeno.
Si decise ad avanzare camminando al centro della consumata moquette.
-Pare uno di quegli hotel dal sapore vintage che spesso ho visto nei film,comunque vi saranno centinaia e centinaia di piani,mi sento stranito,non era così che me la immaginavo;c'è odore di fumo,il tappeto è impregnato di unto,ad ogni modo l'aria è artificiale,l'interno pressurizzato.
A quale altezza mi trovo?Non conosco nulla,ho bisogno di informazioni,di acqua,non posso continuare a girovagare senza meta col rischio di ficcarmi in qualche guaio,devo chiedere ospitalità a qualcuno.Sembra abitato qui...prima ho intravisto delle persone alle finestre.Devo farmi coraggio- Si fermò davanti alla porta dell'interno 4005,premette un pulsante rossastro a lato,il quale generò un suono di avviso,non invasivo,una sonorità serena.
Percepì,allora,dei passi frettolosi avanzare verso di lui.
La porta si aprì.Sulla soglia vi era una giovane donna,i piedi scalzi e sottili fungevano da basamento a delle lunghe gambe,il corpo perfettamente proporzionato e dalle forme gentili sembrava provato, nonostante mantenesse una stupefacente bellezza;la carnagione scura non si addiceva a quella pungente aria artificiale;gli occhi grandi e neri scrutarono il visitatore con curiosa discrezione.Indossava una lunga camicia da notte color turchese,estremamente informale;non se ne curò;poi accennò ad un sorriso che illuminò il delicato viso.
-Vieni dentro- disse.Edward entrò.

-Siediti-Un accogliente,piccolo salotto si parò alla vista di Edward;al centro della stanza un basso tavolino in legno adornato da un vaso in ceramica,dal quale fuoriusciva un sottile stelo con in cima un bocciolo di rosa,era attorniato da due poltroncine in cuoio; posizionate una di fronte all'altra,in attesa di accogliere due ospiti,per una “chiacchierata”.Edward,sedendosi,ebbe la sensazione di aver posto la fine di questa logorante attesa.
-Gradisci qualcosa da bere?- -Si,grazie- Sentì il cuoio contorcersi lentamente sotto il suo peso, probabilmente,per la prima volta,qualcuno si sedeva su quella poltrona;era comoda.
-Tu non sei di qui-Ella gli porse la tazza.
Questa affermazione lo fece trasalire.Possibile che avessero già scoperto la sua fuga e la sua destinazione,dando l'allarme e chissà quali istruzioni,per favorire la cattura del fuggitivo.Del resto lui non era altro che un esperimento,un'animale da circo scappato dalla sua gabbia.Diede una rapida occhiata prima alla tazza,poi al piacevole viso di lei;preferì posare la fumante bevanda sul tavolino,l'avrebbe esaminata in seguito.

-Beh in effetti non passo spesso da queste parti,mi trovavo nei paraggi.-
Si sporse in avanti,aguzzando lo sguardo impertinente dritto verso di lui;con fare trionfante accavallò le gambe e fece un sorso -Tu non sei di questo pianeta-L'idea sembrava divertirla.
Edward si irrigidì:possibile che fosse al corrente di tutto.Doveva stare attento,replicare con cautela.Cercò di atteggiarsi per non dare nell'occhio -Signora,lei sta esagerando,la verità è che mi sono perso e l'anonimato non mi sembra appropriato per una situazione del genere,perciò lei come si chiama?- -Si abbandonò alle leggere convulsioni di una risata fanciullesca,un rivolo di liquido le scivolò sulle labbra,si pulì con dito mentre la risata si affievoliva. -D'accordo,io sono Ellen.- -Io mi chiamo Edward- -E non sono una signora- rimasero in silenzio per un attimo.
Edward bevve dalla tazza la tiepida bevanda -un'altro po'?- -Si grazie,potrei mettere qualcosa sotto i denti?- -Si,certo- Tirò fuori da un piccolo frigorifero rosso un paio di buste contenenti carne sintetica e dello sciroppo al fruttosio. -Ecco tieni- La ragazza si risedette sulla poltrona a gambe incrociate,osservandolo mangiare,pensierosa.Quando ebbe finito si alzò di scatto dirigendosi verso un piccolo appendiabiti.
-Vieni con me,ti farò da guida.- Non ebbe altra scelta che acconsentire,sebbene non avesse
sufficienti elementi per fidarsi.Nello sguardo di lei però era presente un magnetismo dal quale sembrava impossibile sottrarsi.Entrarono in un piccolo vano ascensore con un'unica luce al neon stanca di illuminare.
-Reggiti-

Edward percepì per un attimo il vuoto del tunnel,mentre scendevano a grande velocità,tutto sembrava tendere verso l'alto;due graziosi orecchini d'argento pendevano dai suoi lobi;era bella,pensò.
Un fremito ed un boato segnalarono il loro arrivo.

-Dove siamo?-
-Al piano terra-
Edward mise piede sul gelido suolo asfaltato,mentre usciva dall'ascensore,guardandosi intorno,nel buio inquietante dove l'uomo,ora,viveva.
-Tieni,ti aiuterà a respirare- Edward indossò il respiratore.
-Abbiamo un'autonomia di 1 ora e 30 min. Qui l'aria è altamente inquinata-
Avanzarono per le strette vie della città,addentrandosi nella penombra,verso il centro cittadino;un'enorme mercato all'aperto,dove bancarelle d'ogni tipo,vendenti oggetti e cianfrusaglie d'ogni forma e dimensione,serravano le corsie pedonali.Si percepiva un forte brusio di voci,urla,mentre Edward procedeva facendosi strada tra la massa di persone.
S'imbatté nello sguardo disperato di un vecchio incappucciato.Le pupille a fatica riuscivano ad intravedersi,oppresse dal sangue scuro fuoriuscito dai capillari.Quegli occhi lo impressionarono a tal punto da bloccarsi,per concedersi più tempo per esaminare quelle goffe figure che lo circondavano.D'un tratto si rese conto del pessimo stato in cui quei corpi andavano errando per le vie dell'immensa metropoli.I loro sguardi spenti e famelici non li riconobbe,non li riuscì ad accettare come sguardi umani.Molti di loro faticavano a muoversi,capì che erano affetti da malformazioni,la loro specie stava morendo,cosa li riduceva in questo stato.
Un gran senso d'angoscia lo invase.
-Ellen,Ellen!-
Ellen non c'era più,se n'era andata lasciandolo in balia della paura,di quegli esseri abominevoli. -Cosa ci fai qui?Uno come te non dovrebbe stare nella zona rossa-Osservò uno di loro,con voce soffocata.
-Cosa!La zona rossa,cos'è la zona rossa?-
-Dammi qualche soldo! Ti prego qualche soldo!-
-Cosa!No,non...io non ho nulla!- -Ehi tesoro,vieni! Ti farò rimpiangere di avere due mani!-Nel giro di pochi secondi si era creata una folla intorno allo sconcertato visitatore-
-Chi siete! Io non ho nulla- Ebbe paura,Edward ebbe veramente paura.
-Indietro,indietro ho detto! Alzati,seguimi e non perdermi di vista- Ellen era li,era tornata a prenderlo.
-Tranquillo,non vogliono farti del male,hanno solo bisogno d'aiuto,sono terminali-
-Non mi avevi detto della zona rossa,di che si tratta?-
-Vieni andiamocene,meglio andare,ti spiegherò strada facendo.Ora sali-
Una navetta a reazione li stava aspettando,evidentemente un taxi.
-Che facciamo ora qui,dove andiamo?-
-Non ti preoccupare,ti puoi fidare di me.-
E decollarono,allontanandosi dalla zona rossa.
Edward si accasciò sul sedile dell'aereo mobile,sconvolto.
-La zona rossa è il quartiere popolare della città,lì la situazione è disperata,senza cure mediche ed abbandonati al loro destino,i Red Eyes sono destinati a morire,infetti da malattie e radiazioni.La zona rossa non è altro che un cimitero,un cimitero popolato da morti viventi.Mi sembrava giusto che tu la vedessi.- Il veicolo si destreggiava abilmente nei meandri della metropoli.
-E tu,tu per quale motivo mi stai aiutando,perchè vuoi farmi capire com'è la vita sulla terra.Chi sei tu?-
-Qui la domanda è chi sei tu.Io so che non sei come gli altri umani,forse non sei nemmeno
umano,ma questo non mi importa.Questo è ciò che vuoi,perchè,altrimenti,saresti arrivato qui? Eppure leggo nel tuo sguardo un senso di smarrimento,una perenne ricerca di qualcosa,come se non avessi provenienza,come se non avessi un posto dove andare,un posto dove stare.-
Edward ebbe la sensazione di trovarsi con le spalle al muro,senza possibilità di fuga.
“Aveva ragione!Che Ellen avesse ragione?”Pensò Edward.
-Devo andare alla sede della New Human,è li che mi devi portare!-
-E' rischioso,ma non impossibile e rischiare fa parte del mio lavoro!-
-Edward,ti presento Moody!Il migliore nel suo campo-
Edward intravide il volto vissuto del pilota.
-Ebbene si,il migliore!Ecco come faremo,ragazzo,apri bene le orecchie dato che se fai una mossa sbagliata ci spezzettano e ci servono come pasto per le loro bestiole da laboratorio.Li sotto il sedile c'è una botola,aprila ed entraci,è scomodo,ma ci farai l'abitudine,l'interno è isolato,in modo che non possano individuare il calore emanato dal tuo corpo.Quando saremo in prossimità del punto di controllo è importantissimo che tu non respiri,non ti muovi,insomma,sei praticamente morto.Se tutto fila liscio in 40 secondi uscirai dal tuo nascondiglio e proseguirai per la tua strada.Naturalmente il servizio è un notevole extra!-
-Ecco,e cerca di fare la tua parte-
Ellen ed il Pilota si scambiarono un fiala,essa parve garantire la sua collaborazione. -Ok!Ragazzo,mi raccomando!-

L'imponente edificio,sede della New Human svettava al centro del quartiere High Village. L'aeromobile si immise nel traffico controllato del quartiere.
-Documento di identificazione- - Ellen 02235- -faremo un'ispezione del velivolo-
Il militare perlustrò il vano passeggeri,il casco di ultima generazione,sensibile al calore gli permetteva di individuare possibili ospiti indesiderati. -Permesso accordato-

La navetta oltrepassò così il posto di blocco,sorvolando le migliaia di Red Eyes a cui era negata ogni tipo di interazione con gli abitanti interni all'High Village;le urla disperate di quegli esseri,un tempo umani,riecheggiavano nella mente di Edward.Un senso di rabbia lo pervase.
Infine il taxi terminò la sua corsa.

-Ellen,tu aspettami qui,nel caso non tornassi,vattene!Io ho dei conti in sospeso da saldare,una volta per tutte!- No,verrò con te!- Si dimostrò determinata e ferma nella propria decisione,evidentemente ci teneva a lui.
Una voce computerizzata li accolse all'ingresso dell'edificio.

-Identificativo,prego- -Edward,dalla luna- -Accesso negato-
-On The Moon,Edward- -Accesso negato- -Eddy-

-Accesso consentito,benvenuto sulla terra Edward-
La porta automatizzata si richiuse alle loro spalle,rapida e silenziosa.
L'interno era di un bianco luminoso ed omogeneo che rendeva impossibile distinguere le pareti delimitanti la sala,la quale assumeva quindi,la surreale dimensione dello sconfinato;sebbene si potesse scorgere la figura umana di quella che avrebbe dovuto essere una segretaria.
Si avvicinarono a lei,il loro passo sostenuto non destò la minima attenzione nella donna,intenta a guardarsi le unghie.Giunti in prossimità del bancone,dietro al quale era immerso gran parte del suo corpo,ancora parve non rendersi conto della loro presenza.Edward,perplesso e spazientito,suonò con energia il piccolo campanello giallo,posto sulla scrivania.Solo allora li prese in considerazione. -Buon giorno,come posso esservi utile?-
-Sono Eddy,devo vedere Tom,Tom Sawyer-
-Si,il dottore la sta aspettando nel suo ufficio,al 4 livello-
Poi ritornò,come se niente fosse,a guardarsi le unghie smaltate.Il suo sguardo vuoto,simile a quello
di una bambola inanimata trasmise,ad Edward,un senso di inquietudine.
Si affrettarono verso l'ascensore.Iniziarono la salita accompagnati da un ripetitivo suono elettronico che segnalava i vari livelli.Edward era nervoso,anche Ellen lo era.Rimasero in silenzio,cercando di non incrociare gli sguardi.
-Stai tranquillo,ci sono io- Disse Ellen.
Edward sorrise,poi tornò in fretta dalle sue ansie.
Le porte dell'ascensore si aprirono.In fondo ad un lungo corridoio li aspettava,ritto in piedi,Tom.

-Edward,ti stavo aspettando.- Allargò le braccia,nascondendo del timore,entrambi ne avevano. Questo era il loro primo faccia a faccia,la creatura ed il suo padrone,non più in grado di recitare la parte.Poi,una volta che Edward lo ebbe raggiunto,rimasero li,in silenzio,a guardarsi negli occhi,a contemplare i loro sguardi.Dimenticarono tutto:il motivo del loro incontro,le procedure di sicurezza,di avvisare il commissariato,Tom;Edward l'odio,la delusione e di Ellen.
-Come stai, Eddy?- fu Tom a prendere l'iniziativa.
-Siamo soli,non è così? Non hai allertato chi o cosa sta dietro tutto questo, chi mi ha progettato, i militari ?Non l'hai fatto, non è vero? Tu vuoi conoscermi?-
Si era vero.Tom non si stava comportando come avrebbe dovuto fare se si fosse presentata una simile situazione.
Aveva violato l'ordine del Progetto Scientifico “On The Moon”.Edward non sarebbe mai dovuto arrivare sulla Terra, mai sarebbe dovuto entrare in contatto col morbo che affliggeva l'umanità. -Si,hai ragione!Non ho fatto nulla di tutto questo.Io non so quello che sto facendo,non capisco più nulla.Non mi resta che rispondere alle tante domande che mi farai.Se mi ritirassi adesso,tutto quello per cui ho lavorato andrebbe perduto, avrei fallito.
-Che cosa sono io?-
-Chi sei tu, Edward.Era proprio questo lo scopo dell'esperimento.
Anni e anni di studi,di osservazioni,di scoperte,ritrovamenti,per darti alla luce,per crescerti,per fare in modo che tu ti sviluppassi,nella speranza di ottenere quello di cui più di tutto abbiamo bisogno. Capimmo che l'umanità si sarebbe distrutta,devastando tutto ciò da cui essa stessa traeva nutrimento,energia,forza per rinnovarsi,svilupparsi,per creare,inventare e progredire nel bene,nel nome dell'uomo nel significato più puro del termine.
Intuimmo che avremmo dovuto investire su quest'idea,su di te,e sapevamo anche che mai sarebbe stata accolta una simile proposta dalla commissione scientifica.Così,io e la mia piccola schiera di innovatori,camuffammo i veri propositi dell'esperimento,motivandolo con la creazione di un essere privo di affetti,svincolato dalla società e dai meccanismi burocratici e distruttivi della grande metropoli;dedito interamente alla scoperta e colonizzazione di altri pianeti per sfruttarne le risorse. Decisero di sostenerci,come prevedibile.
Progettammo allora la base lunare,dove tu saresti cresciuto,stimolato dal materiale che avevamo raccolto e che ritenevamo efficace per il nostro scopo,nonostante non capivamo a fondo dove saremmo arrivati,cosa saresti diventato,se fossimo riusciti nel nostro utopistico intento.Ma per avere una certezza bisogna rischiare,e decidemmo di provare.Io avrei monitorato le fasi della tua crescita e del tuo apprendimento,tentando di assecondare la commissione.Loro cercavano una nuova razza di soldati:più addestrati,più controllabili,fisicamente potenziati,incontaminati dalle malattie ormai fuori controllo che infestano il pianeta,di cui tu avresti dovuto essere il prototipo.Io speravo di indirizzarti verso una diversa dimensione,ambiziosa ed elevata,di cui tutti noi necessitiamo. Attraverso il tuo sguardo avresti potuto comunicarci ciò che inspiegabilmente ci avrebbe aiutato a colmare quel vuoto,quella tremenda mancanza che più di ogni altra malattia e frustrazione ci affliggeva.Ero convinto di questo,sapevo che per molti di noi era così.
Ed ora...-
Tom si lasciò cadere su di una sedia,nel suo ufficio,la testa fra le mani,lo sguardo verso il basso,sconfortato,confuso.
Edward s'immerse nei suoi pensieri,Ellen li osservava dal fondo del corridoio,immobile.Silenzio. -Hai paura?Cosa succede se scoprono che sono qui,sulla terra,che non era come pensavano fosse?-
-Io ho fallito,ormai è tutto inutile-
-No! Non hai fallito.Tom,io mi fido di te,possiamo farcela.Io voglio aiutarti,io ho scelto,ora spetta a te.-
-Ti dovrò cancellare la memoria.E' l'unico modo- Tom parve illuminarsi di una luce sinistra,nello sguardo,sopraffatto da un'irragionevole sofferenza.
-Tom ascoltami,puoi farcela,possiamo riuscire a combattere il vuoto che senti.Io so come fare,ho bisogno di stare ancora sulla terra,per assaporare la vostra condizione,per farne parte;poi potrò tornarmene sulla luna,forte di questa nuova esperienza così diversa dalla vita che avete scelto per me.Quello che stavi cercando sta crescendo in me;la mia anima e la mia visione del mondo.Una concezione delle cose,un punto di vista ispirati dall'indole creativa che mi avete innestato.E' per questo che sono stato progettato,ideato,concepito.
Per essere una figura pensante e decisa, in grado di guidare le vostre idee,posizioni,di farvi cogliere quei particolari o descrivere quella sensazione che vi rende felici,tristi,arrabbiati.Immerso tra le stelle,lontano,ma al contempo così vicino e presente nelle vostre vite,indispensabile;sebbene sia il tentativo di riportare in vita una razza estinta,paradossalmente,proprio a causa vostra.Solo ora,che vi manca così tanto,la rivolete indietro.Tom,tu senti il bisogno di un'artista.-
Le parole gli sgorgavano dalla bocca,come guidate da una forza soprannaturale.Lo sguardo,pareva diretto verso un'alternativo altrove.
L'impostazione della voce teatrale,i gesti scomposti,i capelli spettinati,i vestiti sporchi,il sudore sulla pelle,l'annullamento del presente e del tempo,dell'immagine e del corpo.Si sentì vivo,Tom si sentì vivo.Ellen,tenutasi a distanza,si commosse.Intuiva a malapena i concetti e la situazione,ma sentendo quel ragazzo,e percependo la forza della sua volontà,capì che lo ammirava.
Silenzio.
Tom si alzò dalla sedia,fissò a lungo Edward.Poi lo abbracciò,trasportato,riconoscendolo. -Vai,prima che sia troppo tardi,hai tempo circa 6 ore,una navetta verrà messa a tua disposizione.Lascia che il marcio di questo mondo ti colpisca e ti condizioni;osserva la spregevole umanità.Io sarò qui ad aspettarti,loro saranno qui con me.Quello che avverrà in seguito,sarà una mia decisone.Ora andate,è meglio che io resti solo.-
Edward,indietreggiò e raggiunse Ellen.
-Andiamo,in fretta-
-E dove andremo?-
-Portami a vedere il mondo-
Ellen lo guardò intensamente,gli occhi illuminati da gioia,per l'ingenuità di quella domanda,rivolta proprio a lei,e da una velata amarezza.
-Non c'è nulla da vedere,è questo il mondo:High Village,Zona Rossa.
-Allora portami nel tuo mondo-
Ellen lo prese per mano,entusiasta.
Uscirono dall'edificio “New Human Corporation”,una navetta li stava aspettando. Ad Edward cosa sarebbe successo in seguito,non importava.Era felice,di trovarsi li,con Ellen.
Ritornarono dove si erano conosciuti,circa 5 ore prima.l'interno 4005.
Fuori iniziava a fare freddo ed il cielo a scurirsi.
-Ecco,sei nel mio mondo.Un giorno mi porterai con te,sulla luna.Il tuo mondo.Promettimelo-
-Io l'ho portato con me il mio mondo-
Estrasse dalla borsa i vinili,le bacchette.
-Buona parte del mio mondo la posso trasportare.Sai di che si tratta?-
-No,non ho mai visto oggetti simili in vita mia,che roba è?-
Incuriosita,esclamò Ellen.
-Tramite questi cerchi,riesco a sentire della musica;con queste,invece,posso fare della musica.Sai cos'è la musica?
-No,non lo so-
-La musica è quando pensi,vedi,ridi,piangi e senti che ci manca qualcosa;che nel mentre tutto quello che fai ci debba essere un'elemento estraniante che ti conferisca un completamento della tua
percezione delle cose.-
Erano molto vicini,attorniati dal calore inebriante dei loro respiri,profondi,sereni.
Buio.La vista lasciò spazio ad un'esplosione di sentimenti,emozioni e sensi in cui Edward si trovò coinvolto,lasciandosi travolgere da quell'onda d'urto colma di mistero.
All'esterno i suoni penetranti e le luci invadenti della grande metropoli,a testimonianza dell'incessante routine,degli incastri incomprensibili di ogni ingranaggio nel complesso motore della megalopoli.Quello che restava dell'umanità.
In quegli stessi attimi,Edward ed Ellen fecero l'amore.

La luna,antica ed elegante,era alta nel cielo,la sua luce così densa e chiara,Edward la osservò a lungo.Ellen era addormentata,a sognare,il chiarore di luna la illuminava appena.Era il momento di andare.Qualunque cosa sarebbe successa di certo non avrebbe più potuto rivederla,ne tornare sulla terra.Pensò di non svegliarla.Così,furtivamente,uscì e si diresse verso la navetta che,discreta,lo aspettava.Per le strade numerosi fuochi erano accesi,l'unica fonte di calore per i Red Eyes,ombre nella notte,abbandonati ed indifesi.

Entrò da solo,quando la porta dell'ascensore si aprì,in fondo al lungo corridoio,vi erano ad attenderlo un gruppo di uomini in cravatta,mentre Tom con il camice,controllava che tutto fosse pronto per l'operazione.Gli uomini,non dissero nulla,si limitarono ad osservarlo;non sembravano entusiasti ne turbati nel vederlo,lo guardavano come si guarda un agnello da macello. -Ciao,Eddy.Entra pure e mettiti comodo,fra poco ripartirai per la luna,la navicella è già pronta.Tutto ciò che dovrai fare,adesso,è collaborare.Ora lascia fare a me- Edward si distese su un lettino operatorio,attorniato da potenti luci e macchinari minacciosi.Tom inserì una serie di dati al computer ed avviò le macchine.Edward si sentì tradito,nel vedere quelle macchine giostrarsi contro di lui.Si fidava della tecnologia,ci era cresciuto.I loro sguardi si incrociarono,scambiandosi del sentimento,poi Tom diede il via all'operazione ed Edward,in una frazione di secondo,perse i sensi.

Sull'ampia vetrata si stagliò immensa,immersa nello spazio sconfinato,la Terra.Ad osservarla pensieroso vi era un ragazzo:Edward.Il suo sguardo era pieno di creatività ed un illogica allegria gli segnò il volto per mezzo d'un sorriso,temprata da una velata amarezza generatasi,gradualmente,nell'espressione.Sedeva su di un gelido pavimento d'acciaio,e sorseggiava una bevanda calda.Ai suoi piedi dei fogli bianchi,nella sua mano,una semplice penna nera.Poggiò la testina di lettura sul vinile rotante,proprio quello che avrebbe voluto ascoltare,ed iniziò a scrivere.