Il fumo di sigaretta scorreva denso
verso l'alto e la musica si riversava spumosa nell'aria di solitudine
che invadeva il locale.
Le sedie consumate lasciate ai tavolini
su cui permeava l'odore delle bevande rovesciate.
Le bottiglie aperte sul bancone, ancora
piene, ed il jukebox da cui fuoriusciva “The House Of The Rising
Sun”.
In piedi, a seguire con lo sguardo
l'alone di fumo che si distendeva in aria, era rimasto Jimmy, il
giovane che viveva proprio a qualche isolato di distanza, non un tipo
troppo simpatico. A dirla tutta parlava poco e di rado faceva
amicizia con qualcuno del locale: un posto ordinario e frequentato
dalla gente del quartiere.
Quella sera Jimmy era entrato lì, come
molte altre sere, per bere qualcosa di forte. Perchè
fondamentalmente non sapeva che farsene della propria vita. Non gli
piaceva l'idea di doversi inventare un modo per procurarsi il pane,
che poi a lui manco piaceva il pane. Lo considerava un inutile
ingombro alimentare.
Dunque se ne stava lì da solo, e
beveva dal bicchiere. Sempre molto posato nei modi il giovane Jimmy.
Dormiva nella casa in cui era nato e cresciuto. Mangiava la pasta di
sua madre, che lo aveva fatto diventare alto, forte e bello (a detta
di sua madre).
Lavorava di giorno come muratore
insieme a suo padre, e così portava a casa qualche soldo, ma lui non
voleva fare il muratore (così pensava).
Decise di farsi un tiro e prese a
fumare. Era la prima volta che fumava, ma si sentì giustificato a
prendere quel mozzicone ancora acceso e provarci... del resto non
c'era anima viva lì dentro.
Gli diede un po' fastidio, e si chiese
come diavolo facesse alla gente a piacere di respirare
quell'accozzaglia di roba, faceva tossire! “Quanto è cretina la
gente!” Pensava, “proprio uno schifo, la gente” e si sedette su
una di quelle sedie a ridosso di un tavolino, ascoltando la canzone.
Gli venne da schioccare le dita
seguendo il ritmo dimenticandosi della gente, che in effetti non
c'era il bisogno di dimenticare, essendo solo lui. Questa nuova
consapevolezza lo colse come conseguenza dello straordinario silenzio
che rendeva ottima l'acustica del locale. Inoltre poteva godersi il
JukeBox senza doversi sorbire le patetiche scelte musicali degli
altri. Così corse alla macchina verso la fine della canzone, con il
tintinnio dei centesimi pronti nella tasca. Lo aveva sempre
emozionato il jukebox: inserire la monetina, schiacciare i tasti e
vedere come sfogliava i dischi scegliendo quello che lui aveva
scelto. Adorava quella sensazione di comunicazione così limpida e
cristallina, senza il rischio di fraintendimenti.
Proprio mentre stava per selezionare
uno dei suoi gruppi preferiti gli sorse spontanea una domanda: “Dove
sono finiti tutti?” Già, dove erano finiti tutti?
Prima di arrivare al locale lui se ne
stava nel bagno di casa. Ricorda che dopo le polpette di mamma era
dovuto correre lì dentro, ma non per le buonissime polpette. Si vede
che gli era preso uno di quei virus intestinali di cui alle volte si
parla, nelle cene di famiglia. Allora dopo un' abbondante mezz'ora si
era rimesso i calzoni e aveva tirato lo sciacquone, perchè si era
fatta l'ora di uscire. Sceso in salotto la TV era accesa, come ogni
sera, e non valeva neppure la pena di salutarli quei due, perchè
tanto non avrebbero risposto. Comunque disse: “Ciao Ma e Pà! Vi
voglio bene. Io esco, ci vediamo domani!” Più per una sorta di
rito scaramantico che per altro, e corse fuori. La strada era
deserta, ma lo era sempre quel viale, la sera non usciva mai nessuno
da quelle parti. Così si incamminò verso il locale con le mani in
tasca ed un allegro fischiettio per farsi compagnia.
Ed eccolo lì. Da solo.
Si fermò un attimo a pensarci su,
quando vide entrare una distinta figura femminile accompagnata dal
tintinnio della porta d'ingresso...
Un cumulo di curve come raramente se ne
vede, su cui scivolava un lucido soprabito bianco latte. Tutta
trafelata e ridondante di preoccupazioni, si sedette subito su una
delle sedie, dando le spalle al povero Jimmy, che rimase fermo
dov'era. Doveva averlo visto però, dato che incominciò a parlare
fissando il vuoto.
-Li hanno portati via tutti! Una forte
luce verdastra, intensa, elettrica...pochi secondi e poi più
nulla...- Si girò di scatto verso Jimmy, che la ascoltava
interessato.
-Io non ci ho capito niente! L'ho visto
scomparire davanti a me!- Scoppiò in un pianto da bambina, che
spezzava il respiro.
Jimmy le si avvicino come un padre
affettuoso che detestava vedere la sua piccola disperarsi.
-No, non fare così! Non
piangere...stai tranquilla, ci siamo io e te adesso.-
La fanciulla sollevò la testa dalle
mani, con ancora le lacrime sul viso puro e delicato, guardandolo
negli occhi.
-Dimmi...che cosa è successo? Chi gli
ha portati via?-
-Quelle grosse macchine che hanno
oscurato il cielo! Oh erano così enormi che la luce era scomparsa!
Ma non le hai viste?!-
Jimmy distolse lo sguardo, lei lo
mantenne ancora per un po'.
Poi si alzò, allontanandosi dalle
attenzioni di Jimmy, estraendo un soffice fazzoletto di seta con cui
prese ad accarezzarsi gli occhi. Singhiozzava ancora.
Jimmy si riprese.
-Le andrebbe di ballare?-
Lei gli rivolse uno sguardo annebbiato
dallo sgomento, ma in cui si poteva intravedere della curiosità
mista ad un senso di spensieratezza. Ripeté: “Di ballare?”
-Si, di ballare...siamo solo io e te,
chi vuoi che ci veda? Ecco, solo un attimo...-
Jimmy corse verso il JukeBox, decise
rapidamente per “Can't take my eyes off you”.
Le tese la mano...
-Vieni, balliamo-
Lei lentamente gli porse la sua mano.
Di un'eleganza innata quella donna, semplice e profumata.
Jimmy la portò a se, guardandola come
se le stesse parlando, attraverso la canzone.
Notò che piano piano nei suoi occhi
incominciava a sorgere il sole, su un panorama di ampie vallate
verdi, e colorate dai fiori di primavera.
“You're just too good to be true”
Non importava più di niente ormai, si
stava così bene senza tutte quelle persone intorno, il loro vociare
e tutte le altre stronzate, solamente lui e lei e la musica.
“Can't take my eyes off you”
Il suo sguardo si posava sulle sue
labbra di carne, sul suo naso all'insù, sulla sua fronte ampia, per
poi tornare sui suoi occhi chiari ed intesi.
“You be like even to touch”
“I wanna hold you so much”
Si lasciò abbracciare, presero il
ritmo ed il presente iniziò a coinvolgerli entrambi, con ritrovata
vitalità.
Come scintillavano le parole sul manto
lussuoso delle note, gioielli sulla porpora di un abito da sovrano,
re del mondo intero. Così si sentiva lui, e lei era la sua regina.
Teneramente incominciarono ad amarsi...
“I love you Baby”
Coscia contro coscia. Un armonioso
sgambettare a tempo di musica pervadeva il locale, passando fra i
tavoli, evitando le sedie...c'era la felicità in quella desolata
città, ora.
Volteggiavano, piroettavano, avanti e
indietro, sopra e sotto, dentro e fuori, le loro emozioni
rivoluzionavano con loro in quel moto caotico e liberatorio che li
aveva conquistati.
I fiati della canzone illuminavano le
loro espressioni.
“I love you baby! Trust in me when I
say!” Le diceva, e lei iniziava a crederci...lo si vedeva da
lontano che voleva fidarsi.
Così si sciolse come il burro su una
calda fetta di pane, e si ricordò di quando era ragazza, e sognava
di fare grandi cose, che sarebbe stata bella per sempre...
Jimmy la guardava, la prendeva, le
entrava dentro, non gli pareva vero di poter amare così teneramente
una donna...ed era felice. Diamine se lo era!
Presero a rincorrersi, fra i tavoli e
le sedie, fra le bottiglie e i bicchieri, sopra e sotto il bancone.
Lei rideva, rideva che era tutta uno scuotersi ed un muoversi a tempo
di musica. Con quel sorriso che avrebbe potuto illuminare tutta la
città, facendo scomparire l'oscurità della notte più nera.
“Let me love you...”
“Lascia che ti ami. Non desidero
altro...” Pensava Jimmy.
“You're just too good to be true”
E invece era vero, era tutto vero. Era
lì, adesso, per un motivo qualsiasi.
Jimmy era davanti a lei, vicino a
lei...solo con lei.
Un bacio di innata naturalezza si
concretizzò fra di loro sul finale raggiante della canzone,
protendendosi nel silenzio che ora li circondava.
Una forte luce verdastra, intensa,
elettrica...poi più nulla.
Edoardo D'Amico